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Una delle coltivazioni più diffuse nelle terre della nostra parrocchia, oltre la segale, era anche quella del lino. Sui pendii del monte Vallecetta si seminava in aprile-maggio e si raccoglieva in agosto. La piantina del lino non è molto alta e si presenta con dei fiorellini azzurri.

Al momento del raccolto si strappavano le piantine con la mano, si facevano dei mazzetti raccolti a 10 a 10. Con un matterello si separava la “linosa” (il seme) dal fiore.

I semi venivano dati ai vitelli, i fusti venivano invece messi nella “gràmola” per “smazòlar” ed essere ridotti così in fibre sottili che venivano poi filate e tessute.

La coltivazione del lino teneva occupati i contadini durante tutto l’anno: molti mesi (primaverili ed estivi) erano necessari per il lavoro dei campi e durante le lunghe sere autunnali ed invernali le donne lavoravano in casa.

La “tesciadra” (tessitrice) era generalmente la nonna di famiglia, che insegnava e si faceva aiutare dalle altre donne che vivevano nella casa.Il lino grezzo unito a “kànuf” (canapa) era più duro, più ruvido, in alcuni punti pungeva: era usato per le fodere dei pagliericci (una sorta di antico materazzo) e per gli asciugamani, che venivano usati quando si uccideva il maiale per avvolgerne la carne;

 

quello più regolare era usato per le lenzuola, camicie ed asciugamani di casa.Per sbiancare i capi di lino venivano esposti alla rugiada e si lavavano spesso con la cenere.


 

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